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Omelia per l'Ordinazione Episcopale di S.E. Mons. Giuseppe Favale

+ Claudio Maniago, Vescovo di Castellaneta
 
OMELIA PER L'ORDINAZIONE EPISCOPALE
DI S.E. MONS. GIUSEPPE FAVALE - 9 APRILE 2016
 
Lettura dal vangelo secondo Giovanni (21,1-19)
 
L'atmosfera del brano del Vangelo ora proclamato è soffusa di malinconia, è come un attardarsi pensoso intorno a Gesù nel timore di separarsi definitivamente da lui. Un gruppetto di discepoli è ritornato nei posti dove avevano sempre vissuto e dove la loro avventura aveva avuto inizio. Erano pescatori, avevano accolto con entusiasmo l'invito di Gesù a seguirlo, gli erano stati vicini fin quasi alla fine, poi tutto era precipitato e le speranze si erano definitivamente infrante: il loro maestro era stato tradito, arrestato, processato, condannato, crocifisso. E anche la sorpresa all'annuncio di Maria di Magdala e la gioia che avevano provato nell'incontro con Lui Risorto si stava affievolendo tanto da convincerli a tornare al vecchio lavoro, alle vecchie abitudini. “Allora uscirono e salirono sulla barca, ma quella notte non presero nulla”: poche parole per dire icasticamente, che cosa è una vita senza la presenza viva di Gesù. Ma il miracolo della pesca abbondante fa riconoscere il Signore ai discepoli immalinconiti e ripiegati su se stessi. A questo riconoscimento del Risorto, fa seguito la festa insieme a Lui, preparata da Lui: uomini stanchi nella loro fede, forse delusi nelle loro aspettative, provano a ricominciare la vecchia vita e invece si accorgono che Gesù è sempre con loro, che la sua risurrezione non lo ha sottratto dal contatto vitale con le loro esistenze, che con Lui f impossibile continua a essere possibile e i miracoli avvengono. Dove c'è lui c'è festa, la gioia pasquale trasforma la malinconia nella calda intimità con il Figlio di Dio.
Una intimità voluta e desiderata da Gesù che si fonda su un amore donato che chiede insistentemente, pazientemente, di essere ricambiato, anche da chi è arrivato a tradirlo. Nel dialogo con Pietro Gesù manifesta la sua divina inquietudine, il suo desiderio appassionato che tutti vivano la vita nuova, proprio tutti, nonostante tutto.
Il mistero di questo incontro pasquale e in particolare di questo intenso dialogo fra Gesù e Pietro, illumina l'avvenimento di Grazia che stiamo vivendo questa sera mentre ci apprestiamo a ordinare vescovo, un sacerdote della nostra Chiesa di Castellaneta, il nostro don Peppino.
Allora come dev'essere un uomo a cui si impongono le mani per l'Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, che in Gesù ci ha mostrato la sua passione per gli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev'essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev'essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio; se per lui l’inquietudine verso Dio, di agostiniana memoria, è diventata un'inquietudine per la sua creatura, l'uomo. Egli dev'essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Ricordando le felici parole di Papa
Benedetto XVI, “Non è solo I'uomo ad avere in sé I'inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi” (Omelia nella solennità dell'Epifania del Signore, 6.1.2013). L'inquietudine dell'uomo verso Dio e, a partire da essa, I'inquietudine di Dio verso l'uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che si intende quando diciamo che il Vescovo dev'essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che I'essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. "La fede - dice ancora papa Benedetto - ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall'inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore". In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev'essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e I'amore; deve essere un credibile testimone della misericordia di Dio.
Un uomo che vive la fede nella Chiesa, che vive la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con il pensiero dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Il vescovo che vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti anche nel nostro tempo. L'agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo e chiede di tradursi in un autentico atteggiamento evangelico. A questo riguardo esorta papa Francesco: "non (siate) Vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su sé stessi e quindi arresi all'oscurità del mondo o rassegnati all'apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi deII'Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell'unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell'amore di Dio" (Udienza ai Vescovi nominati nel corso dell'anno partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali, 18.09.2014).
La fede vissuta come inquietudine verso Dio e verso gli uomini, può essere alimentata solo dalla preghiera: il Vescovo quindi dev'essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio, in dialogo fecondo con il Signore in quell'intimità che è un incontro di sguardi come è avvenuto fra Gesù e Pietro; la sua anima dev'essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
 
Allora, caro don Peppino, lascia che le emozioni di questa celebrazione tocchino la tua vita e si imprimano nel tuo cuore perché saranno il tesoro prezioso a cui potrai attingere per rendere sempre fecondo il ministero a cui ti chiama il Signore.
Conserva lo stupore suscitato dalla tua chiamata e saprai vedere sempre il Signore che opera nella vita di tutte le persone, soprattutto nei più poveri e sofferenti; ricorda le prime paure, le inquietudini, i dubbi di fronte a nuove responsabilità a cui il Signore chiama le tue fragili spalle e saprai accompagnare sempre con rispetto i dubbi, le angosce e le paure dell'uomo di oggi; lascia che l'olio profumato che sarà versato sul tuo capo per configurarti al buon pastore scenda sul corpo della Chiesa a te affidata dal Signore; la servirai con attenzione e cura riconoscendole sempre la dignità e la bellezza che il Risorto le ha dato; tieni sempre presente il gesto significativo con cui il Vangelo sarà aperto sul tuo capo: diventerà la casa dove non ti stancherai di invitare tutti per familiarizzare con il Verbo di Dio, la parola di salvezza e abbi sempre cara I'emozione di quell'anello messo nella tua mano destra, che “alle volte stringe troppo o qualche volta rischia di scivolare, (ma) possiede comunque la forza di saldare la tua vita a Cristo e alla sua Sposa” (papa Francesco, cit.); saprai ricordare sempre che Gesù, lo Sposo, ama la sua chiesa, quella porzione della sua Chiesa, attraverso di te, attraverso il generoso dono della tua vita, il tuo chinarti per servirla. Solo conservando questa consapevolezza potrai tenere nell'altra mano il pastorale che non sarà mai un segno temuto di potere, ma sempre uno strumento che rassicura e dona pace, perché dice che il Signore è presente e guida, sostiene e protegge il cammino della Chiesa.
 
Noi tutti preghiamo perché tu non dia mai per scontato il mistero che ti avvolge, perché tu non perda mai lo stupore di fronte al disegno di Dio, né il timore di camminare in coscienza alla sua presenza e alla presenza della Chiesa che è prima di tutto sua.
E Maria, che in questo anno giubilare amiamo invocare come Madre di misericordia, ti sia madre e maestra nel tuo ministero episcopale.
 

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